I GUASTI DI ARISTOTELE

i guasti di aristotele

Più tardi, Aristotele (384 – 83 – 322 a. C.) definì la luce “l’atto di un corpo trasparente, in quanto che esso è trasparente”, osservando che un corpo trasparente ha la “potenza” di trasmettere la luce, ma non diventa effettivamente trasparente finché la luce non è passata attraverso esso e quindi ha messo in atto la trasparenza.

Se osserviamo gli occhi di un gatto di notte notiamo che essi sono luminosi e lui può camminare tranquillamente nell’oscurità: questo convinceva gli antichi della realtà dell’esistenza del fuoco visto dell’occhio di cui parlavano Empedocle e Platone. Sorgeva però una spinosa domanda: perché mai, se nell’occhio vi è una sorgente di luce, anche l’uomo non può vedere di notte? Le risposte erano varie, ma Aristotele tagliò corto sentenziando che l’aria buia è opaca: soltanto quando si accende una lampadina, essa diventa trasparente, perché la luce è l’attuazione della potenziale trasparenza che fa si che l’uomo veda.

Noi ci chiediamo ancora, però, perché lo stesso ragionamento non dovesse valere per il gatto che vede senza la lanterna accesa. Comunque anche tali considerazioni non rispondevano alla domanda su quale sia l’essenza primaria della luce e come questa si produca. Durante il Medioevo, quando i problemi della natura venivano discussi in base alla filosofia aristotelica – secondo la quale la “natura” delle cose consiste nella ragione per cui esistono, ossia nel loro fine – non fu fatto alcun passo concreto per trovare una soluzione.

LE DICHIARAZIONI DI SAN TOMMASO D’AQUINO

San Tommaso d’Aquino (1227 – 1274) dichiarò che “l’origine della nostra conoscenza è nei sensi, anche di quelle cose che trascendono i sensi” e “la metafisica si chiama così, ossia oltre la fisica, perché a noi – che naturalmente arriviamo alla conoscenza delle cose immateriali per mezzo delle cose sensibili – si offre giustamente come oggetto di studio dopo la fisica”.

Principalmente per la sua influenza, l’aristotelismo fu adottato estesamente nell’Europa del XIII secolo, impazzando per almeno quattro secoli, tanto che, ancora nel 1624, il Parlamento di Parigi dichiarava che, pena la morte, nessuno doveva sostenere o insegnare dottrine opposte a quelle di Aristotele.

Gli studi del Medioevo consideravano l’aristotelismo un corpo enciclopedico di conoscenze che non aveva bisogno di essere migliorato da ulteriori esperimenti. Essi avevano abbandonato il punto di vista di San Tommaso sulla relazione fra fisica e metafisica affermando: “non è scopo della fisica teorizzare sui suoi fatti e leggi, o intraprendere una ricostruzione della cosmologia o della metafisica […] se una teoria fisica è inconciliabile con l’insegnamento metafisico, essa non può essere ammessa, poiché è la metafisica e non la fisica la scienza naturale suprema”. Infatti essi interpretarono il mondo esterno applicando solo la logica formale, traendo deduzioni da principi oscuri e sterili che, in realtà, rappresentavano la pietrificazione della fisica sbagliata di Aristotele: un modo di procedere che non portava ad altro che a una sofisticheria prolissa e che ostacolò il progresso scientifico per tutto il Medioevo.

Sebbene Aristotele possa essere considerato un grandissimo filosofo – forse uno dei fondatori della logica – il suo insegnamento giunse nel momento di declino del periodo creativo del pensiero greco e quindi invece di stimolare una ulteriore attività intellettuale fu accettato come dogma e inibì qualsiasi altra attività intellettiva. Duemila anni dopo, al momento del risvegliarsi di un’attività logica originale, quasi ogni progresso nella scienza, nella logica e nella filosofia dovette iniziare come opposizione alle teorie di Aristotele. 

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