IL RUOLO DEL DATORE DI LAVORO PER I LAVORATORI FRAGILI

il ruolo del datore di lavoro per i lavoratori fragili

La fragilità del lavoratore dipende dall’età, dalle patologie pregresse, che incrementano la sua vulnerabilità. L’età avanzata (>55 anni) e la presenza di più di una patologia rappresentano in conclusione “aggravanti”, mentre sono meno rilevanti le situazioni ben compensate e sotto efficace controllo farmacologico.

In base all’articolo 26 comma 1 bis del D L 104/2020 i “lavoratori fragili” sono dipendenti pubblici e privati che siano in possesso di una certificazione rilasciata dalle autorità sanitarie o dalmedico di base.

L’OBBLIGO DI SORVEGLIANZA SANITARIA

Nel nostro ordinamento, si prevede che il datore di lavoro abbia l’obbligo di sicurezza nei confronti dei propri dipendenti. Ciò significa che egli deve adottare ogni misura di sicurezza idonea ad evitare il rischio che i lavoratori possano subire un danno alla propria salute e sicurezza nel luogo di lavoro.

In particolare, la normativa specifica in materia di sicurezza sul lavoro prevede l’obbligo per il datore di lavoro di sottoporre i lavoratori a controllo sanitario. Tale attività viene detta sorveglianza sanitaria e deve avere ad oggetto la verifica dell’idoneità fisica dei lavoratori a svolgere la mansione esercitata.

La sorveglianza sanitaria deve essere effettuata dall’azienda con riferimento a tutti i lavoratori, da intendersi con una accezione ampia.

Vi rientrano, quindi:

  • I lavoratori presenti in azienda, a prescindere dalla tipologia contrattuale (dipendenti, somministrati, intermittenti, etc.).
  • I soci lavoratori di cooperativa.
  • Gli associati in partecipazione.
  • I soggetti che effettuano tirocini e stage.

L’attività di controllo sanitario sul lavoratore è obbligatoria sia quando ricorre uno dei casi espressamente previsti dalla normativa vigente, sia quando venga richiesta dal lavoratore e il medico competente la reputi connessa ai rischi professionali.

IL CONTROLLO DELLA SALUTE DEI LAVORATORI

Controllare la salute dei dipendenti è, in generale, un dovere del datore di lavoro ma, nel contesto della pandemia, la sorveglianza deve essere particolarmente rafforzata verso alcuni lavoratori con maggiori fragilità.

In questo periodo di pandemia da Covid-19 vi sono alcune categorie di lavoratori particolarmente esposte al rischio del contagio. Basti pensare ai medici, agli infermieri ed al personale sanitario in genere ma anche a tutte le persone che lavorano.

In altri termini, in prima istanza la soluzione va sempre ricercata sul luogo di lavoro. Questi dipendenti non possono essere immediatamente inviati al curante, che non sempre è a conoscenza della mansione specifica effettivamente svolta dal suo assistito né delle condizioni dell’ambiente in cui viene espletata, cognizioni di pertinenza esclusiva del medico competente. Tale opzione deve essere considerata solo quale ultima ratio dopo aver esperito ogni altra possibile alternativa interna all’azienda e in pieno accordo tra le due figure professionali sanitarie (MC e MMG), nella consapevolezza che prolungati periodi di assenza per malattia possono influire negativamente sul rapporto di lavoro. In ogni caso, anche qualora sia accertata la “inidoneità” alla mansione da svolgere per quanto riguarda la fattispecie della maggiore rischiosità per il contagio da SARS-CoV-2, è stata espressamente disposta l’impossibilità di procedere al licenziamento, norma di garanzia per il lavoratore fragile ma che potrà essere fonte di non poche difficoltà e contenziosi. 

Occorre puntualizzare che il medico competente può solo “segnalare” e “raccomandare” ma che la decisione finale sulle misure di tutela per i singoli lavoratori fragili rimane pur sempre in capo al datore di lavoro, unico soggetto in grado di prendere decisioni riguardanti la sua impresa e l’impiego dei propri dipendenti, anche – e soprattutto – nell’attuale fase di emergenza sanitaria, che certo a oggi non può dirsi ancora conclusa.

Il decreto rilancio ha introdotto una particolare tutela del lavoratore fragile dal rischio di contagio da Covid-19 imponendo al datore di lavoro un rafforzamento dell’attività di controllo sulla salute del dipendente. Tuttavia, nel silenzio della norma, non sono chiare le modalità concrete con cui le imprese devono dare seguito a questo obbligo introdotto dalla legge.

IL COMPITO DEI DATORI DI LAVORO

Il sistema di prevenzione a livello aziendale e nazionale realizzatosi nel tempo offre la naturale infrastruttura per l’adozione di un approccio integrato alla valutazione e gestione del rischio connesso all’attuale emergenza pandemica”: in questa affermazione si incarna correttamente il ruolo dei soggetti coinvolti, riconducendoli al sistema, appunto, sottostante e che deve esplicare appieno il proprio ruolo anche nella gestione della pandemia. Al fine di garantire lo svolgimento in sicurezza delle attività produttive e commerciali in relazione al rischio di contagio da Covid-19, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad assicurare la sorveglianza sanitaria eccezionale dei lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio, in ragione dell’età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, anche da patologia Covid-19 ovvero da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o comunque da comorbilità che possono caratterizzare una maggiore rischiosità.

I datori di lavoro che ai sensi del Testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs. n. 81/2008) non sono tenuti alla nomina del medico competente ai fini della sorveglianza sanitaria, ferma restando la possibilità di nominarne uno per il periodo emergenziale, possono richiedere la sorveglianza sanitaria eccezionale ai servizi territoriali dell’Inail che vi provvedono con propri medici del lavoro.

LA TUTELA DEL LAVORATORE FRAGILE

L’avvento della pandemia da Covid-19 ha coinvolto in modo profondo la materia della salute e sicurezza sul lavoro. Infatti, l’obbligo di protezione del datore di lavoro sulla salute dei dipendenti è stato esposto ad una sfida del tutto nuova. Inoltre, in molti casi, il principale veicolo del contagio è stato proprio il lavoro. Basti pensare agli operatori della sanità o a chi sta al front office di una qualsiasi attività.

Il legislatore ha, dunque, introdotto una sorta di sorveglianza sanitaria rafforzata per i lavoratori considerati fragili, ossia, maggiormente esposti al rischio di contagiarsi.

In particolare, la norma, che è efficace fino alla fine dello stato di emergenza sanitaria e, dunque, salvo proroghe, prevede che, al fine di assicurare che le attività produttive e commerciali si svolgano in sicurezza con riferimento al rischio di contagio da Covid-19, i datori di lavoro, sia del settore pubblico che di quello privato, debbono assicurare quella che viene definita la sorveglianza sanitaria eccezionale ai lavoratori fragili.

  • I lavoratori fragili, siano essi pubblici o privati, potranno proseguire il lavoro in smart working fino al termine dello stato di emergenza per Covid-19, ovvero fino al 31 marzo 2022. A stabilirlo una norma approvata dal Senato che, inoltre, rifinanzia il fondo necessario per equiparare al ricovero ospedaliero l’assenza dal lavoro per rischio legato al Covid di quei dipendenti fragili le cui mansioni non possono essere svolte da remoto.
  • Il lavoratore fragile ha la possibilità di svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile (smart working), anche attraverso l’adibizione a diversa mansione, purché riconducibili alla medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi vigenti, o attraverso lo svolgimento di attività formative anche da remoto.
  • I lavoratori fragili impossibilitati a svolgere l’attività lavorativa in modalità agile, potranno assentarsi dal lavoro con diritto al riconoscimento del periodo di assenza al pari del ricovero ospedaliero, con il riconoscimento del relativo trattamento economico.
  • Le giornate di assenza equiparate al ricovero, non concorrono a formare il periodo di comporto della malattia.

Nell’ordinamento europeo vi è l’assunzione di una nozione di “handicap” – di stampo “sociale” e non esclusivamente “medico” – da intendersi quale “menomazione personale che, in interazione con barriere di diversa natura, sia suscettibile di ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona alla vita professionale su base di uguaglianza con altri lavoratori. Il datore di lavoro dovrà dunque in ogni caso applicare, anche ai sensi dell’art. 3 comma 3 bis del dlgs 216/2003, ogni necessario e ragionevole accomodamento nella propria organizzazione al fine di garantire il diritto al lavoro e alla salute dei soggetti fragili. Il datore di lavoro “provvede alla tutela dei lavoratori” che versino in “situazioni di particolare fragilità”: il datore di lavoro dovrà dunque attuare ogni possibile “adattamento” all’interno della propria organizzazione al fine di tutelare il lavoratore “fragile”.

Quanto ai soggetti con disabilità “da lavoro”, si rileva che Inail contribuisce alla spesa sostenuta dai datori di lavoro per interventi relativi all’adattamento delle postazioni di lavoro. Tale contributo potrebbe in questa fase essere utilizzato anche tenendo in considerazione le necessità di sicurezza connesse al rischio di contagio Covid-19 (ad esempio per assegnare il lavoratore con disabilità da lavoro a diverse mansioni, previo finanziamento da parte di Inail di interventi formativi o di riqualificazione professionale.

LE TUTELE AFFETTIVE

Nel contempo, resta aperto il tema delle tutele effettive, sia dal punto di vista della salute che dal punto di vista “economico” e “lavorativo”, per i lavoratori fragili/disabili non in possesso dei requisiti previsti dalla “legge 104” e della certificazione dello stato di handicapgrave o lieve. Si tratta, ad esempio, di soggetti affetti da patologie compensate con trattamento farmacologico come diabetici, cardiopatici, portatori di malattie renali, reumatiche, di patologie attuali o pregresse che li rendono suscettibili di conseguenze particolarmente gravi in caso di contagio.

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